lunedì 31 ottobre 2011

Trekking Giudicale (Oristano, 31/10/11)

L'associazione culturale Arbarèe organizza per lunedì 31 ottobre un'iniziativa denominata "Trekking Urbano Giudicale".
Con la realizzazione di questa iniziativa, l'associazione Arbarèe intende mostrare ed evidenziare una differente visione della storia del nostro popolo, ribadendo la sua contrarietà a ogni forma di revisionismo storico.
Quello stesso giorno si svolgerà infatti per le vie di oristano un iniziativa "il trekking tricolore" il cui intento pare essere invece quello di fornire un quadro ambiguo delle vicende storiche della nostra città all'interno del contesto del risorgimento italiano.
Il "trekking Giudicale" è una iniziativa culturale apartitica, chiunque potrà partecipare a titolo personale e/o di gruppo per dimostrare la propria sensibilità nei confronti della Storia Nazionale del popolo Sardo. Chiunque abbia a cuore la memoria storica di Aristanis e del Giudicato di Arbarèe è invitato a partecipare alla passeggiata, che comincerà alle ore 14.30 da piazza Roma per proseguire nel centro storico.
Per l'occasione saranno presenti all'iniziativa alcuni studiosi ed esperti di storia giudicale che illustreranno i monumenti simbolo della Storia Giudicale ai partecipanti.

Sòtziu Culturale Arbarèe



domenica 30 ottobre 2011

Addòviu de sos indipendentistas (S.Cristina di Pulilatino, 30/10/11)


1° incontro pubblico dell'area di dibattito e di confronto indipendentista formatasi il 25/09/11 a Ghilarza.

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L'incontro è aperto a tutte le sensibilità indipendentiste (organizzate e non) e tratterà i seguenti argomenti:

1) Sintesi scritta delle istanze esposte il 25/09 a Ghilarza.
2) Proposte per far avanzare, in termini operativi, l’idea della convocazione dell’AGI (strategia su come s’intende procedere) e valutazioni dell’incontro delle organizzazioni indipendentiste del 25/09 ad Oristano.
3) Idee su come promuovere l’Unità dei sardi, creare e gestire canali di comunicazione e interazione nel tessuto sociale ed economico sardo.
4) Varie ed eventuali.

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SANTA CRISTINA DI PAULILATINO
Accesso - Sulla s.s.131 al km.114,300, si trova il bivio per l'area archeologica,
segnalato da cartelli.

DOMENICA 30 OTTOBRE DALLE ORE 16:00



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sabato 29 ottobre 2011

Incontro-dibattito: Indipendenza: Futuro della Sardegna (Relazione di Giovanni Fara)

Incontro-dibattito

“INDIPENDENZA: FUTURO DELLA SARDEGNA”

Relazione di Giovanni Fara

È sempre piacevole ritrovarsi in un incontro per parlare d’indipendenza, per parlare del futuro della nostra terra, un tema che è evidentemente entrato nel dibattito politico della società sarda, interessando tutti gli orientamenti e gli schieramenti politici. Un tema che gli indipendentisti per primi hanno il dovere di esporre, manifestando le proprie idealità e i propri valori e ponendosi a confronto gli uni con gli altri anche allo scopo di costruire punti di convergenza politica.

È da considerare meritevole lo sforzo profuso da chi crea periodicamente occasioni d’incontro e dibattito, di cui si avverte una sempre maggiore necessità sia tra i sardi, sia tra le fila dell’indipendentismo, sempre più spinto verso un confronto serrato sui temi e su tutto quello che caratterizza la lotta per l’indipendenza delle varie organizzazioni indipendentiste sarde. Incontri nei quali è sempre più frequente la partecipazione di militanti che appartengono a una base indipendentista che non ha alcuna organizzazione di riferimento e che trova in questi spazi il luogo ideale nel quale poter arrecare il proprio contributo d’idee in termini di partecipazione attiva alla lotta per l’indipendenza della Nazione Sarda. La presente relazione ne è un esempio in quanto realizzata da un militante indipendentista non iscritto ad alcun partito o movimento ma operativo nell’ambito dei lavori di una associazione indipendentista: l’Assòtziu Zirichiltaggia. Associazione nata nel 2009 sul versante della lotta contro il nucleare in Sardigna, e oggi particolarmente attiva sia sul piano della lotta alla militarizzazione dell’Isola, sia sul piano della difesa del territorio dalla speculazione energetica, nonché nella formazione di un’area di dibattito che accoglie in modo trasversale la base indipendentista più interessata alla discussione in corso sulla convergenza nazionale.

Una prima importante riflessione riguarda il concetto d’indipendenza, per il quale si è spesso inteso un sogno romantico e velleitario, un’utopia anacronistica. Niente di più falso. L’indipendenza è quanto di più concreto un Popolo possa auspicare di raggiungere: l’idea di indipendenza è un progetto politico e in quanto tale realizzabile. L’indipendenza è un diritto fondamentale dei Popoli sancito da tutti i moderni Trattati Internazionali. Trattati sottoscritti anche dalla Repubblica Italiana, benché questa non riconosca la sua composizione plurinazionale, negando quindi l’esistenza di intere comunità etniche e nazionali inglobate nel suo Stato (Es. Sardegna, Friuli).

L’indipendenza è un'emancipazione da un potere come il colonialismo e si ottiene attraverso un processo di autodeterminazione che consiste nella possibilità di un popolo di scegliere liberamente il proprio destino, di essere l’artefice della sua storia, di acquisire una propria soggettività politica e giuridica internazionale. L’indipendenza è in tal senso da considerarsi come l’esatto contrario dell’isolazionismo. Un’accusa che spesso viene mossa strumentalmente agli indipendentisti è quella di voler isolare la Sardegna dal resto del mondo, ma questo è quanto di più distante dalla realtà. La nostra è una lotta per la conquista di poteri reali, per permetterci di gestire direttamente, senza intermediari, il nostro territorio e le nostre risorse, relazionandoci alla pari con gli altri Stati e determinando autonomamente le nostre scelte nell’ambito di una interrelazione economica, politica e culturale che oggi ci viene sistematicamente negata. Sono le attuali condizioni di dipendenza che ci impediscono di determinare ciò che è meglio per la nostra terra e per il nostro Popolo. Non abbiamo rappresentanze in Europa in grado di incidere sulle scelte degli Stati-Nazionali settecenteschi e ottocenteschi dai quali questa è essenzialmente composta. Non abbiamo la possibilità di incidere sulle decisioni economiche che altri prendono per noi, così come non possiamo mettere in discussione il ruolo geopolitico che la nostra Isola si appresta a ricoprire sullo scacchiere internazionale. Un’Isola al centro del Mediterraneo utilizzata sempre più come polo energetico e piattaforma militare, come una barriera tra il nord e il sud del mondo. Un ruolo che potremo ribaltare se solo avessimo il coraggio di lottare per la nostra indipendenza nazionale, per la costituzione di un nostro Stato Sovrano, libero di decidere con chi intrecciare le proprie relazioni economiche, politiche e culturali.

È un concetto fondamentale quello dell’autodeterminazione, utile anche a sfatare le sciocchezze, le affermazioni irresponsabili del presidente dello Stato Italiano Giorgio Napolitano che in riferimento alle mire secessioniste della Lega Nord ha recentemente affermato che “non esiste una via democratica alla secessione”. Pur non entrando nel merito dell’esistenza di un popolo padano e della propaganda leghista, tutt’altro che incline a disarcionare il potere centrale dello Stato, occorre ricordare che già con la dichiarazione d’indipendenza degli Stai Uniti dall’Inghilterra (4 luglio 1776) e con le successive formulazioni dei principi di autodeterminazione dell’ONU, il diritto internazionale riconosce la legittimità delle “Nazione di Volontà” a perseguire e proclamare la propria indipendenza statuale, un diritto considerato inalienabile per le “Nazioni Storiche” che come la Sardegna presentano delle proprie specificità territoriali, linguistiche, storiche e culturali.

La Sardegna, è finita nell’orbita italiana per un baratto di guerra, nel 1720 (nell’ambito della guerra di sucessione spagnola), ma se invece di scambiare la nostra Isola, i Savoia avessero scambiato la Sicilia, forse oggi ci saremo trovati a trattare gli stessi temi parlando una lingua differente da quella italiana, la lingua appartenente allo Stato coloniale di turno.

La Sardegna è una Nazione inglobata all’interno dello Stato Italiano, ma è pur sempre una nazione diversa da quella italiana, con la quale non ha in comune né storia né cultura. È una Nazione che è stata assoggettata, colonizzata, imprigionata dallo stato italiano ma che nel corso della sua storia, nel periodo dei giudicati (fra il IX ed il XV secolo) è stata anche una terra libera e indipendente. Oggi ci vogliono far credere che siamo italiani da sempre, servendosi di uno stucchevole revisionismo storico che punta alla cancellazione delle tracce del nostro passato, alla negazione della nostra identità e che persegue in modo incessante una politica di omologazione culturale e linguistica ignobile. Sappiamo d’esser entrati nell’orbita italiana da poco più di trecento anni ma siamo un Popolo da oltre tremila e nessuno ci ha ancora cacciato da questa terra, nessuno ha ancora completamente cancellato la nostra identità, la nostra civiltà.

Tornando alle affermazioni di Napolitano occorre chiedersi: se non esiste una via democratica alla secessione, ed evidentemente all’indipendenza, quale via dovremmo seguire? Quale, secondo Napolitano, per portare avanti un progetto politico che mira ad affermare un diritto inalienabile, il diritto di un Popolo a decidere il proprio futuro e spezzare le catene di una dipendenza che per la nostra terra, per il nostro Popolo è ormai diventata insostenibile?

L’indipendenza per la Sardegna è una necessità storica, ma non solo, è anche una necessità politica ed economica. L’indipendenza è un progetto politico che s’intende perseguire in un’ottica democratica, raccogliendo la maggioranza di consensi attorno a questo progetto, cioè il 50% + 1 dei consensi utili al conseguimento dell’indipendenza nazionale. Dobbiamo quindi poter creare le condizioni democratiche affinché la maggioranza dei sardi si riconoscano in questo progetto politico.

Lottare per l’indipendenza significa aprire un processo storico di emancipazione e di liberazione nazionale e sociale del Popolo Sardo, per attribuirci tutti quei poteri utili alla gestione del territorio e delle sue risorse, che dovrà portare gli indipendentisti al governo dell’Isola e a una trasformazione reale della società sarda, per svincolarci dai rapporti di subalternità e di sfruttamento che sono la causa dello sfacelo economico e culturale in cui si trova la nostra terra.

La causa di questo sfacelo va ricercata nelle politiche coloniali subite dalla Sardegna da più di sessant’anni. L’imposizione di un modello di sviluppo economico basato sulla chimica, negli anni sessanta ha compromesso gravemente gran parte del nostro territorio, impedendo lo sviluppo e la modernizzazione di agricoltura e pastorizia che fino a quel momento erano state al centro del nostro tessuto economico-produttivo. Tanto che i pastori ancora oggi pagano il prezzo delle scelte che la politica italiana con la complicità degli amministratori locali imposero alla nostra Isola in quegli anni. Una chimica che ha irrimediabilmente danneggiato intere aree che per la loro posizione e bellezza naturale sarebbero potute diventare dei poli di attrazione turistica internazionale. Basti pensare ai littorali di Porto Torres e Platamona nella costa nord dell’Isola o alla costa occidentale del Golfo degli Angeli dove è ubicato il comune di Sarroch nel sud Sardegna, luoghi pesantemente colpiti dall’inquinamento prodotto da due dei poli chimici più grandi d’Europa sorti nel 1964 che oggi con il loro inesorabile declino si lasciano alle spalle migliaia di cassintegrati e disoccupati. A un modello economico estraneo all’isola si accosta una politica di militarizzazione che inizia sulla fine degli anni cinquanta e che interessa ben 35 mila ettari di territorio (circa il 70% dell’intero apparato militare italiano). È chiaro come l’imposizione della chimica, l’occupazione militare, l’assimilazione culturale e linguistica, le nuove servitù militari ed energetiche che tuttora vorrebbero imporci vadano inquadrati in un contesto preciso che evidenzia il rapporto di subalternità del nostro popolo rispetto allo stato italiano, il rapporto di sfruttamento del nostro territorio ad opera dello stato italiano; un contesto nel quale i reali bisogni dei sardi non contano niente; un contesto dove si curano interessi per lo più estranei all’isola; un contesto che è sempre più caratterizzato dallo scontro di interessi tra la Nazione Sarda e quella Italiana. E mentre assistiamo allo smantellamento dei servizi da parte dello Stato, ai continui tagli ai comuni, all’impoverimento del territorio e al suo conseguente spopolamento soprattutto nelle zone interne, siamo costretti a fronteggiare la preoccupante crescita della militarizzazione dell’Isola. Si rincorrono, infatti, sempre più frequentemente le voci su un possibile ritorno degli americani a La Maddalena e sull’ampliamento del poligono militare di Teulada mentre si costruiscono nuove caserme (Es. Pratosardo a Nuoro) e si vuole imporre l’installazione di 15 Radar sulla fascia costiera dell’Isola, 4 della guardia di finanza e 11 della marina militare italiana. A tutt’oggi resta il mistero sul loro reale utilizzo. Poco chiare e convincenti risultano essere le motivazioni addotte dalle autorità competenti, le quali una volta parlano del loro impiego nella lotta all’emigrazione clandestina, pur se in relazione a località dove di immigrati non si è mai vista l’ombra a memoria d’uomo, come nel caso dell’Argentiera; un’altra volta affermano si tratti di strumenti da impiegare nella lotta al traffico di droga o armi o ancora per il controllo della navigazione marittima o della pesca illegale. Si avverte in sostanza la riluttanza a rilasciare informazioni realistiche e verificabili.

Atteggiamenti inqualificabili che non hanno impedito di scoprire che dietro l’installazione dei Radar si nasconde un immenso giro d’affari e di interessi che superano i 220 milioni di euro tra lo Stato Italiano e l’industria militare israeliana che li produce. Questi Radar infine avrebbero le stesse caratteristiche di quelli utilizzati da Israele per il controllo militare delle zone palestinesi, per colpire obiettivi militari. È logico pensare che nei progetti dell’Italia potessero servire a proteggere obiettivi sensibili, quali potevano essere le centrali nucleari che lo Stato intendeva costruire in Sardegna - forse tutte le quattro previste dal piano energetico nucleare del governo. Radar che oggi risultano utili sullo sfondo dei conflitti e degli sconvolgimenti del Nord Africa e delle guerre nelle quali l’Italia è sempre più direttamente coinvolta. Da considerare l’uso della base sarda di Decimomannu nel conflitto libico e il fatto che l’80% degli attacchi NATO sono partiti dalle basi messe a disposizione dall’Italia.

Ci dobbiamo rendere conto che la Sardegna si trova sempre più al centro di strategie militari ed energetiche che altri decidono per noi: lo vediamo con la speculazione eolica ripresa in maniera incalzante all’indomani della sconfitta del nucleare con il Referendum sardo del 15/16 maggio di quest’anno. È stato inaugurato agli inizi di ottobre il più grande parco eolico d’Europa su una superficie di 4.000 ettari nei comuni di Buddusò e Alà dei Sardi e già si pensa alla realizzazione di quello previso nella piana di Ozieri. Progetti speculativi attorno ai quali si annidano interessi milionari con ritorni economici risibili per i comuni che ospitano le pale eoliche che per far fronte al taglio dei servizi ai comuni forniti dallo Stato accettano le imposizioni, i ricatti, le condizioni economiche poco vantaggiose imposte dalle multinazionali del vento, a cui nulla importa del benessere dell’ambiente e di quello delle popolazioni locali. Anche il progetto Galsi va inquadrato nell’ambito di una logica speculativa distante dai reali interessi dell’Isola, usata come un’immensa servitù di passaggio che sarà attraversata per 272 km da un condotto che devasterà quanto incontrerà sul suo percorso: boschi secolari, pascoli, terreni agricoli che in caso di mancato accordo con i proprietari saranno espropriati in forza di legge e aree archeologiche.

Ma ci sono anche tante altre questioni di cui si deve tener conto analizzando le condizioni dello sottosviluppo creato dall’occupazione italiana in Sardegna: la crisi economica ha determinato la ripresa massiccia dell’immigrazione giovanile verso l’Italia e gli altri Stati Europei così come il fallimento di migliaia di piccole e medie imprese. Quelle che resistono sono per la maggior parte vessate dallo strozzinaggio legalizzato perpetrato da Equitalia, l’agenzia delle entrate italiana che sta letteralmente mettendo in ginocchio la nostra Isola.

La classe politica sarda completamente asservita agli interessi d’oltremare non offre nessuna soluzione che risponda concretamente ai bisogni di questa terra. Un esempio tangibile d’inettitudine è stato offerto da tutti gli schieramenti italianisti sul fronte della Vertenza Entrate per la restituzione degli oltre 10 miliardi di euro indebitamente trattenuti dallo Stato; soldi che potrebbero essere impiegati per il rilancio dei settori maggiormente colpiti dalla crisi, e che invece non ci ritornano indietro né in termini di rimborso né di servizi alla collettività. Una vertenza che avrebbe dovuto vedere la classe politica regionale unita negli interessi della nostra isola ma che si è trovata ancora una volta contrapposta sulla base delle direttive delle segreterie romane e milanesi dei partiti di entrambi gli schieramenti. Una classe politica autonomista, subalterna e arroccata sui propri privilegi; sempre più incapace di rispondere adeguatamente agli impellenti bisogni della società sarda, e che lungi da intaccare stipendi e prebende da capogiro (tra le più alte d’Italia), per distrarre e ingannare l’opinione pubblica tenta la strada della riduzione del numero dei consiglieri regionali (da 80 a 60) allo scopo di marginalizzare il crescente dissenso popolare e diminuire così la possibilità di accesso in Regione di quelle forze politiche che presto potrebbero esser capaci di raccogliere il malessere trasformandolo in proposta politica, in alternativa ai due poli italianisti di centro destra e centro sinistra del tutto rispondenti ad interessi esterni alla Sardegna.

In conclusione occorre prendere coscienza che l’indipendenza non è che uno dei traguardi di un complesso processo politico utile a creare le condizioni di una vita migliore, le condizioni di una giustizia sociale fondata sui diritti individuali e collettivi del nostro popolo, un processo che deve rispondere alle reali necessità dei Sardi. È giusto quindi tracciare i contorni di quello che può essere un ordinamento istituzionale sul quale questa indipendenza sarà costruita, così come ritengo sia giusto rispondere in maniera adeguata alle problematiche reali della nostra isola attraverso progetti politici ed economici che si dimostrino all’altezza della gestione del territorio e delle sue risorse. È importante cioè riempire la lotta politica d’idee e valori, altrimenti potremo agitare tutte le bandiere che vogliamo, compresa quella dell’indipendenza, ma che priva di contenuto resterà sempre e solo un pezzo di stoffa.

Il maggiore sforzo che le organizzazioni indipendentiste dovranno compiere sarà dunque quello di dotarsi dei progetti di rilevanza politico-economica, tenendo conto che la Sardegna ha un gran bisogno di valorizzare la sua principale risorsa che è il territorio. In quest’ottica si può pensare a un’economia strettamente associata al turismo ambientale, a quello archeologico e culturale, così come al rilancio di settori strategici quali agricoltura, pastorizia e artigianato che attraverso i giusti e necessari investimenti possono diventare il volano di tutta l’economia sarda. Occorrerà anche predisporre un innovativo piano di “sviluppo energetico”, capace di rispondere alle reali esigenze e potenzialità della nostra terra, visto che non v’è alcun dubbio che sul piano della conquista di una piena “sovranità energetica” si giochi gran parte del nostro futuro.

Su questo versante c’è tanto da fare, non lo si può che considerare un passaggio obbligato, se realmente si vuole riuscire a portare una classe dirigente indipendentista al governo della Sardegna. Un passaggio che deve vedere le forze indipendentiste necessariamente impegnate in un processo di convergenza che miri a creare una programmazione politica e strategica comune.

Tàtari 29/10/11

Giovanni Fara

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Indipendenza: Futuro della Sardegna (Porto Torres, 29/10/11)


L'incontro sarà un’occasione di confronto tra alcune realtà indipendentiste ma soprattutto l’opportunità per parlare d’indipendentismo, come prospettiva necessaria alla nostra Isola.I relatori illustreranno le loro idee toccando questioni importanti quali il turismo, l’economia ecc.

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Relatori:


Cristiano Sabino, Bustianu Cumpostu, Giovanni Fara

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Organizzatori-moderatori:

Gianmarco Serra, Giancarlo Pinna, Matteo Memoli

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Porto Torres, Sala F. Canu, C.so Vittorio Emanuele 95, ore 17.30


mercoledì 26 ottobre 2011

Sa Die de sa Limba Sarda: Identità nazionale da riscoprire

Il 22 di ottobre s’è tenuto a Sassari, nell’aula magna dell’università centrale, un convegno sulla lingua sarda, organizzato dall’associazione studentesca universitaria “Su Majolu”.

Si è cercato di analizzare, nell’attuale contesto sociale, il rapporto con la lingua sarda, le difficoltà che esistono per la sua riscoperta e diffusione, gli ostacoli che si incontrano nelle istituzioni pubbliche.

Si sono affrontati diversi temi, tra cui quello della scuola. Ambito nel quale si riscontrano, a detta di Joyce Mattu differenti problemi: il fatto che il sardo non esiste in tutta la società sarda, essendo relegato ad uno specifico ambito; l’utilizzo del sardo più che altro per parlare delle tradizioni del passato e mai per il presente (ad esempio per spiegare la matematica); la difficoltà oggettiva riscontrata da una cospicua parte della popolazione di esprimersi in sardo poiché pensa in italiano. Mattu afferma che i motivi che hanno portato a questa situazione sono da ricercarsi nell’assenza di una politica linguistica sarda, nell’insufficienza delle leggi attuali che non realizzano dei sistemi per lanciare effettivamente il bilinguismo, il quale aiuterebbe ad arginare la difficoltà generale riscontrata nell’esprimersi in limba.

La situazione della scuola in Sardegna che si delinea è piuttosto preoccupante: il ministero impone ai maestri di utilizzare esclusivamente la scrittura italiana e la condizione è aggravata dagli insegnanti stessi, ai quali manca la coscienza necessaria a capire che la nostra cultura ha una propria dignità. Al contrario, gli alunni stessi si chiedono: “perché non impariamo la lingua sarda come impariamo l’inglese e il francese?”.

Ci si è soffermati a riflettere sull’importanza che ha l’università dal punto di vista internazionale, di relazioni con altre culture; a questo proposito il Rettore dell’università di Sassari, Attilio Mastino, ci ha ricordato che all’inizio della sua storia, nell’università sassarese si è parlato sia il sardo che lo spagnolo. Segno, a nostro avviso, di una regressione culturale evidente, in quanto uno dei più antichi centri universitari d’Europa, come l’ateneo sassarese, avrebbe potuto coltivare l’insegnamento e l’uso di più lingue, invece ignorate secondo una logica coloniale di soffocamento della cultura precedente dominante.

A presiedere l’incontro Luiseddu Caria, esponente del movimento “A Manca pro s’Indipendentzia”, Caria ha messo in evidenza la regressione causata dall’università nell’attuare il progetto di omologazione linguistica, il quale ha svilito la nostra cultura, provocando sentimenti auto razzisti. A suo avviso, usufruendo della legge che riconosce il diritto di esprimersi nella nostra lingua in tutti gli uffici pubblici, si farebbe un passo in avanti nella strada dell’integrazione. Ad oggi infatti c’è una marcata distinzione nell’uso del sardo e dell’italiano: il primo è usato nei contesti produttivi, l’altro è la lingua “ufficiale” della burocrazia e degli sportelli pubblici.

Per concludere, Caria ha esposto un’idea concreta dell’associazione “Su Majuolu”, per reintrodurre il sardo e le altre lingue storicamente parlate (es. algherese, carlofortino) nelle scuole e formare i professori di domani. La proposta è quella di istituire, a partire dall’anno scolastico 2012/2013, due nuovi corsi di laurea. Il primo in “Scienze della formazione primaria in lingua sarda” e il secondo in “Lingua e letteratura sarda” in cui dovrebbero essere insegnate materie come lingua sarda scritta e orale, glottologia sarda con attenzione alla fonetica, letteratura, storia, filologia sarda. Il corso sarebbe abilitante all’insegnamento del sardo nelle scuole medie.

Per avvalorare la proposta sono stati messi a disposizione dei moduli dove tutti (studenti e non) hanno potuto firmare a favore dell’introduzione dei due corsi.

Si è parlato anche di un interessante progetto ludico proposto da Maria Luisa Pinna Catte, la quale, dopo aver dichiarato di aver imparato il sardo all’età di sessant’anni e ammesso così di avere qualche problema di pronuncia, ha ricordato che l’età ideale per assimilare le lingue è 3/7 anni, età in cui si ha una plasticità tale da permettere l’apprendimento di più lingue contemporaneamente, capacità che diminuisce dopo i 10 anni. Sulla polemica piuttosto attuale che riguarda la scelta della variante di sardo da utilizzare, Pinna afferma che la scelta deve cadere nella lingua materna, cioè la lingua parlata nella propria realtà locale, quella della comunità in cui si vive e che sia la lingua italiana che la lingua sarda si dovranno esprimere entrambe come strumento veicolare, oltre che come lingua parlata: si impara quindi una lingua e la si utilizza per imparare altro. Pinna ha illustrato inoltre una serie di metodi per insegnare il sardo ai bambini, attraverso vari strumenti: libri di fumetti e fiabe, dvd con cartoni animati in cui i personaggi praticano il bilinguismo, burattini e spettacoli di marionette presentati nelle scuole materne, in cui i pupazzi interagiscono con i bambini parlando in sardo e in italiano.

Per quanto riguarda il problema della trasmissione della lingua e del pericolo della sua scomparsa dovuto all’interferenza dell’italiano è intervenuto Diego Corraine. Secondo Corraine il sardo deve riacquistare l’importanza che merita, dalle scuole primarie fino all’università. A suo avviso ognuno di noi deve fare la sua parte in un progetto di riappropriazione della nostra identità nazionale; bisognerebbe aggregarsi in comunità, in associazioni, istituire dei corsi di formazione, scrivere libri sul tema. Far nascere, insomma, un’industria della lingua sarda, favorendo così l’occupazione. I settori strategici da lui individuati sono quelli dell’università, della sanità, dei mezzi di comunicazione, dell’editoria. La lingua, secondo Corraine, acquisisce infatti valore se la si utilizza nelle università, negli uffici e in tutto l’arredamento linguistico. Sono situazioni che ci portano a pensare che la nostra lingua abbia valore, il solo fatto di vederla scritta gli attribuisce un valore pari a quello che oggi conferiamo alla lingua italiana. Anche una semplice indicazione di divieto come “No si potet pippare” all’interno dei circoli serve a dare visibilità alla lingua.

Corraine ha sottolineato che le organizzazione indipendentiste non pongono come elemento primario la questione della lingua e che il movimento linguistico è debole perché è debole il movimento politico; ha messo in risalto inoltre che la lingua sta scomparendo perché il 70% delle persone adulte continuano a praticare l’uso del sardo, mentre soltanto il 13% dei giovani lo conoscono e lo parlano.

Altri interventi si sono alternati, sia da parte di esponenti del mondo universitario che da semplici ospiti. In sintesi è stato un incontro molto partecipato e interessante. La giornata è proseguita la sera con un concerto in piazza università dove si sono esibiti diversi gruppi, tutti in lingua sarda:, Tzoku, Stranos Elementos, s’Acru, South-Sardinia-Bruxa, Istentales, Tenore Usulese, Binchinau Dub’n’ Funk, Tenore Bustianu Satta.

Sa Die de sa Limba Sarda, “edizione” 2011 è stata una giornata importante dal punto di vista culturale e un ottimo spunto di riflessione per quanto riguarda la riappropriazione della nostra identità nazionale. Complimenti perciò all’associazione “Su Majuolu” e a tutti coloro che hanno permesso la buona riuscita dell’iniziativa, tra i quali segnaliamo Bruno Sini che ha moderato l’incontro, il poeta e scrittore Mario Sanna, lo studioso di lingua sarda Mario Puddu, Nicola Cantalupo, operatore linguistico della provincia di Ogliastra ed esponente di ProGreS e altri cultori di lingua e cultura sarda come Mario Sanna, Nello Bruno, Zùliu Pala, Fabio Petretto e Salvatorico Razzu.

Ci auguriamo che questo sia solo il primo di una lunga serie di appuntamenti che abbiano al centro della discussione la nostra specificità culturale.

Tissi 23/10/11

Daniela Piras

Petizione bilingue Su Majolu


sabato 22 ottobre 2011

Sa die de sa Limba Sarda (Sassari, 22/10/11)

Sabato 22 ottobre dalle ore 9.30

In s'aula Magna de s'Universidade, pratza de s'Universidade, Tàtari

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Sos istudentes de su sòtziu SU MAJOLU, organizant Sa Die de sa Limba Sarda in s'Universidade, sapadu su 22 de santugaini (mes'e Ladamini).

- A ora 'e sas 9 e mesa de manzanu, b'at a èsser su Cunvegnu

"S'amparu de sas limbas minores e s'imparu de custas in sas iscolas: ESPERIENTZIAS PRATICAS DE IMPARU DE SU SARDU".

Ant a faeddare sos mastros e sos professores chi ant imparadu su sardu in sas iscolas e in sas universidades.

A pustis b'at a èssere un'arrejonada chin su pùblicu.

Cherimos iscurtare sas esperièntzias didàticas de sos mastros ca pessamos chi siat importante meda intèndere ite problemas ant atzapadu e ite issèperos ant fatu pro los superare. Infatis cadaunu de custos mastros at dèpidu isperimentare una manera personale de imparare a sos pitzinnos su sardu, ca non bi esistit galu un'imparu istitutzionale de sa limba nostra.

Est importante a los intèndere pro isseperare sa menzus manera chi b'at de l'imparare in iscola e pro abberguare totu su chi depet connòschere unu mastru de sardu, gai chi sa nostra torret a èssere una limba pro arrejonare in totue, de donzi cosa e in cada occasione, comente fit a sos tempos de sos mannos nostros.

- A ora 'e sas 8 de sero b'at a èssere unu cuntzertu in Pratza Universidade chin sos TZOKU, ISTENTALES, SOUTH SARDINIA BRUXA, BICHINAU DUB'N FUNK, S'ACRU, TENORE BUSTIANU SATTA de Nùgoro, TENORE USUSULE de Thiniscole.

Su de connòschere e istudiare sa limba nostra est unu diritu de totu sos sardos: pro la torrare a faeddare in sa sotziedade bisonzat de la batire in totu sas iscolas e in sas universidades sardas!

Bos isetamus pro arrejonare, pro nos cunfrontare, pro iscurtare musica sarda bona, pro nos ispassiare... e pro nàrrer chi cherimus su sardu in sas iscolas e in s'Universidade!


venerdì 21 ottobre 2011

Caserma di Pratosardo: Rispondiamo alla mobilitazione

No alla militarizzazione. Si alla difesa del territorio. Questa è la battaglia iniziata da A Manca pro s’Indipendentzia in opposizione alla costruzione della nuova caserma a Nuoro, nella zona industriale di Pratosardo.

Preso atto dell’inutilità di un progetto che mira a militarizzare ulteriormente il territorio e che non assicura affatto la realizzazione di un campus universitario negli edifici di Viale Sardegna dove si trova attualmente l’arsenale della Difesa, non ci resta che considerare questa come l’ennesima scelta contraria agli interessi della popolazione locale.

Se da una parte siamo certi dell’interesse dello Stato Italiano di dare seguito alla costruzione nell’area di una nuova caserma, secondo una logica che vuole la Sardegna sempre più soggetta a servitù all’interno delle quali sperimentare strategie militari e fornire basi d’appoggio per le sempre più frequenti guerre nelle quali l’Italia è direttamente coinvolta, dall’altra non siamo affatto sicuri del suo interesse a volere realmente investire sulla cultura attraverso la realizzazione di un campus universitario.

Sembra alquanto ironico il binomio “caserma/campus militare”.

La città di Nuoro, se vuole davvero diventare meta universitaria, dovrebbe occuparsi di istituire nuovi corsi, possibilmente non presenti nelle università di Cagliari e Sassari, in modo da integrare l’offerta formativa universitaria e combattere il grande esodo e il conseguente spostamento della ricchezza da Nuoro.

Fornire servizi, residenze universitarie, strutture sportive e ricreative, punti di ritrovo per gli studenti che sono la maggiore risorsa di quella che ambisce a diventare una vera e propria città universitaria.

Quello che assolutamente non torna è il concetto che si vuol far passare dello “sposalizio ideale”, così come è stato definito, tra la nascita della caserma, ovvero le esigenze militari con le esigenze del territorio.

I militari non hanno mai portato sviluppo. Mai. Lo sviluppo è ben altra cosa rispetto a qualche centinaia di posti di lavoro. Lo sanno bene le vere città universitarie che sicuramente non vanno ad accostare due settori che, lungi dal sposarsi, cozzano incredibilmente.

Accerchiarsi di militari crea diffidenza, tensione e sfiducia. Situazioni e sentimenti che il territorio nuorese già abbondantemente conosce. È la presenza dello Stato nella sua forma più cruda e distante da ciò che sono le reali esigenze di una cittadina che vuole investire davvero nel futuro universitario e nella cultura.

Allo stato attuale Nuoro risulta essere la città più economicamente depressa della Sardegna con circa seimila disoccupati e moltissime piccole e medie imprese a rischio chiusura, posizionandosi all’ultimo posto nella realizzazione di infrastrutture. Lo Stato Italiano, da sempre assente e disinteressato a soddisfare le esigenze del territorio, dimostra ancora una volta la sua scarsa capacità di interpretare e considerare i reali bisogni dei nuoresi.

Proprio perché il centro Sardegna vive uno stato critico da un punto di vista demografico ed economico, la realizzazione della caserma significherebbe ancora una volta condannare l’entroterra a un sottosviluppo economico-occupazionale. Noi crediamo che la militarizzazione non possa essere la chiave in grado di rilanciare il centro Sardegna, ma siamo fortemente convinti che il nuorese abbia bisogno di un’economia strettamente associata al turismo ambientale, archeologico e culturale, così come al rilancio dell’agricoltura, della pastorizia e dell’artigianato, settori strategici della nostra economia.

L’Associazione Zirichiltaggia raccoglie pertanto l’invito lanciato nella conferenza stampa tenutasi a Nuoro il 19 ottobre presso la sede di aMpI, e si rende disponibile a partecipare alla mobilitazione contro la costruzione della caserma e ad aprire un confronto sulle molteplici possibilità di sviluppo di questo territorio.

Nùgoro 21/10/11

Edorado Cossu

Daniela Piras


lunedì 17 ottobre 2011

Saras: Inversione di rotta

La società della famiglia Moratti inverte la rotta. Non più petrolio, ma gas naturale, questa è l’iniziativa proposta alla Regione Sardegna.

A quanto pare, da ciò che emerge dal progetto, il pozzo esplorativo sorgerà a pochi chilometri dal centro abitato di Arborea e per giunta limitrofo allo stagno di S’Ena Arrubia, importante area protetta e fondamentale punto di ritrovo per molte specie ornitiche, alcune delle quali nidificano sulle sue sponde. Non solo, la sua ricca vegetazione e l'abbondanza ittica attira tante altre specie di uccelli acquatici oltre ad ospitare numerose attività di pesca che contribuiscono all’economia locale.

Il fatto inquietante è la certezza con cui la SARAS cerca di convincerci che le possibili attività di estrazione non comporteranno conseguenze sulla salute e l’ambiente. Questa è una favoletta che solitamente le compagnie petrolifere amano propagandare. In realtà i rischi esistono anche per le estrazioni di gas. Gas e petrolio hanno infatti la stessa composizione chimica, sono entrambi fatti di molecole di carbonio e di idrogeno. Ne consegue che vi è pressappoco la stessa percentuale di rischio di inquinamento da idrocarburi dell’aria e delle falde acquifere.

Non si tiene inoltre in considerazione quella piccola percentuale di errore umano non del tutto trascurabile, visto i danni che un incidente potrebbe arrecare all’ecosistema locale. In questa eventualità le attività ittiche sarebbero compromesse e alcune specie sensibili alla più piccola variazione dei fattori ambientali come rospi e rane sarebbero molto più vulnerabili anche perché vedrebbero il proprio habitat ridursi drasticamente. È stato visto poi che molte specie ornitiche nidificanti come l’airone rosso che già di per sé vive sull’isola uno stato critico, si nutre anche di anfibi. Non solo, entrando in contatto con sostanze per nulla tollerabili, ci sarebbe il rischio di contrarre nel tempo patologie anomale e che andrebbero per giunta ad alterare la catena alimentare coinvolgendo anche l’uomo.

Il rischio è troppo alto e la questione di Sarroch, molto sentita dai pescatori della zona di Pula, il cui pescato è contaminato da idrocarburi, dimostra ancora una volta come sia preferibile scegliere altri modelli di sviluppo maggiormente compatibili con l’ambiente.

Le perplessità aumentano quando la società della famiglia Moratti spiega che: qualora non ci fosse nessuna traccia di gas naturale o l’estrazione non sia del tutto conveniente, il pozzo verrà abbandonato e saranno eseguite le dovute bonifiche per risanare la zona. Malgrado ciò, vicende passate ci portano a diffidare da certe promesse anche perché il territorio sardo è colmo di aree in cui si sarebbero dovute svolgere interventi di ripristino.

Invitiamo dunque la popolazione locale a tenere viva l’attenzione su ciò che potrebbe succedere attorno allo stagno di S’Ena Arrubia.

Nùgoro 16/10/11

Edoardo Cossu

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Foto di Alessio Niccolai


sabato 15 ottobre 2011

Parchi eolici: L’energia che vola via

Forse qualcuno si è chiesto che senso abbia, oggi, il famigerato Sapei, l’elettrodotto da record che collega la Sardegna con il Lazio, per la precisione Porto Torres con Latina, inaugurato (a Latina) il 21 marzo 2011. Il doppio cavo sottomarino capace di trasportare 1000 MW di energia elettrica era stato realizzato in tempi contenuti, 14 mesi per l’approvazione e 48 per il completamento, fatto alquanto insolito quando si parla di infrastrutture in Italia.

Il Sapei doveva servire a trasportare dalla Sardegna all’Italia l’equivalente dell’energia prodotta dalla centrale nucleare che lo Stato italiano voleva impiantare nella piana del Cirras (Oristano). Poi le cose sono andate diversamente: il referendum sardo del 15/16 maggio ha respinto ogni possibilità di installazione di centrali nucleari nell’Isola, e ora vediamo che entra in azione il piano B.

La scelta della Sardegna per ospitare le centrali nucleari, probabilmente tutte le quattro previste dal piano nucleare del governo, non era certo dettata dal caso, dato che è ormai chiaro che la politica dello Stato italiano è quella di utilizzare la nostra isola come serbatoio energetico e servitù di passaggio (vedi Galsi) a piena disposizione della penisola, oltre che come piattaforma militare, discarica per rifiuti tossici, centro per sperimentazioni industriali ecc. Una terra completamente asservita ad interessi estranei e in contrasto con i reali bisogni del Popolo Sardo e del suo territorio.

Il Sapei ormai esiste e ovviamente le imprese che hanno investito nel progetto non possono certo andare in perdita. L’opportunità di sfruttare le potenzialità del cavo si collega oggi alla volontà di installare pale eoliche un po’ ovunque secondo una logica affaristica e speculativa che poco o nulla ha a che fare con l’innovazione e la ricerca di alternative energetiche all’uso di combustibili fossili.

La Sardegna è inoltre già energeticamente autosufficiente, pertanto con l’installazione di nuovi parchi eolici vi sarà una produzione di energia in eccesso rispetto al suo reale fabbisogno, senza che ciò porti ad un ritorno economico a favore dei Sardi in termini di riduzione dei costi delle bollette. Il business dell’eolico infatti non intacca il monopolio dei produttori di energia da combustibili fossili. La crescita del numero dei parchi non è inversamente proporzionale al ridimensionamento delle industrie che ottengono l’energia con metodi tradizionali (petrolio, carbone). Questo perché non esiste da parte dell’attuale classe dirigente la volontà di dotare la Sardegna di un piano energetico che detti le regole di uno sviluppo sostenibile e perché le scelte operate in questo settore dalla giunta Cappellacci hanno di fatto aperto la strada ad una deregolamentazione che ha esposto la nostra terra alle peggiori ed infime mire speculative ed affaristiche delle multinazionali del settore energetico. Multinazionali interessate alla compravendita dei “certificati verdi” attraverso i quali ottenere il finanziamento di vere e proprie “rendite” piuttosto che di investimenti per uno sviluppo intelligente e virtuoso delle fonti di energia rinnovabile.

Tutto questo dimostra ancora una volta quanto la Sardegna sia assoggettata ad una politica coloniale di rapina e sfruttamento delle risorse. Con la complicità e l’incuranza della classe autonomistica sarda assistiamo infatti alla trasformazione di ben 4000 ettari nei territori di Buddusò e Alà dei sardi, in Gallura, in una immensa fabbrica ben “verniciata” di verde con settanta enormi torri, in quello che è stato definito uno dei parchi eolici più grandi d’Europa, e attendiamo l’approvazione di un nuovo progetto che prevede la costruzione di altre trentacinque torri alte novanta metri su 890 ettari nei territori di Ozieri.

Se non saremo capaci di far nascere nell’immediato una forte opposizione popolare a questo genere di affari assisteremo a breve alla trasformazione di intere aree prima incontaminate e di grande interesse naturalistico in vere e proprie zone industriali, a tutti gli effetti dei mostri ecologici che alla fine lasceranno sparsi ovunque nell’Isola, e sulle spalle delle comunità, una quantità enorme di rottami ferrosi da smaltire.

L’incapacità e la scarsa volontà dimostrata dalla Regione Sardegna nel saper gestire il territorio nell’interesse comune ci deve spronare a reagire, mettendo in campo le migliori energie sarde, affinché venga proposto subito un “Piano Energetico Nazionale Sardo” che definisca su quali investimenti puntare e in quale misura per il soddisfacimento del reale fabbisogno energetico della Sardegna, stabilendo infine i luoghi in cui sia possibile installare gli impianti, in un ottica certamente non contraria allo sviluppo delle energie rinnovabili ma che assicuri dei vantaggi economici e occupazionali per la nostra terra.

Anche in questo caso l’invito ad aprire una tavola di discussione sull’argomento è rivolto a tutte le formazioni indipendentiste, da sempre sensibili al problema e consapevoli che sul piano della conquista di una piena “sovranità energetica” si gioca gran parte del futuro della Sardegna.

Tàtari, 15/10/11

Daniela Piras

Giovanni Fara


mercoledì 12 ottobre 2011

Il futuro nel Pozzo

Non è stato sufficiente aver sacrificato la zona di Sarroch e ora a distanza di anni la famiglia Moratti torna sulla scena puntando decisamente la sua attenzione sulla zona dell’Oristanese. A nulla è servita la consapevolezza che l’area su cui sorge la SARAS sarebbe potuta diventare una località di grande interesse turistico-ambientale sull’isola. E mentre assistiamo all’ennesimo tentativo di saccheggio c’è chi aspetta con entusiasmo l’eruzione dell’oro nero. Al momento, la famiglia Moratti ha presentato la richiesta di autorizzazione alla Regione, e in attesa di una risposta si pensa già alle prime trivellazioni. Tutto sembra già deciso, ma un dettaglio importante sfugge. Non c’è nessuna certezza dell’esistenza di venature petrolifere sul sottosuolo dell’oristanese e anche se si decidesse di procedere con le trivellazioni senza mai trovare nulla che sia oro nero, assisteremo all’ennesima devastazione del territorio.

La Sardegna non è un laboratorio di sperimentazioni o terra di conquista. La Sardegna è un’isola popolata da oltre un milione e mezzo di persone, una Nazione che non intende scomparire dalla faccia della terra. Non possiamo più permettere che un altro spazio, per giunta importantissimo per la nostra economia, venga sfruttato solo per interessi speculativi che poco o nulla hanno a che fare con le necessità e la naturale vocazione economica del territorio. La zona di Arborea è infatti la “culla” di un gran numero di attività agricole, che in perfetta sintonia con l’ambiente rappresentano una buona fetta dell’economia isolana. L'introduzione di tipologie produttive estranee al contesto economico-ambientale, non solo comprometterebbe queste importanti realtà produttive, ma arrecherebbe pesanti e irreversibili danni all’ambiente.

Nel 1962 era già stato fatto un tentativo senza successo e ora la lobbie del petrolio ci riprova, incurante delle reali necessità del territorio e presumibilmente senza incontrare l’opposizione di una classe politica autonomista miope e per nulla capace di prospettare un futuro migliore per le nuove generazioni.

La storia di Sarroch pesa ancora oggi sulla testa di quei tanti operai che hanno sacrificato e che ancora sacrificano la loro vita per la propria famiglia, accettando quella che vorrebbero farci credere essere l’unica alternativa di lavoro possibile. La vita e la dignità umana non possono essere barattate per un posto di lavoro. Il Popolo Sardo deve essere consapevole che l’era del petrolio è ormai sulla via del tramonto e che il futuro è uno solo: le energie rinnovabili, le sole a non rappresentare un rischio per la salute della popolazione, e che certo in Sardegna non mancano.

Proprio quest’anno siamo riusciti a scongiurare l’installazione di una o più centrali nucleari, una di queste proprio nell’oristanese, e oggi non possiamo permettere che la Sardegna torni a essere preda di progetti obsoleti ed antieconomici.

Nùgoro 11/10/11

Edoardo Cossu


martedì 11 ottobre 2011

Glossàriu

AGI = Assemblea Generale Indipendentista.

Autodeterminazione = è una norma di diritto internazionale che produce effetti giuridici (diritti ed obblighi) per tutta la Comunità degli Stati. Questa norma si basa sul diritto di un popolo sottoposto a dominazione straniera ad ottenere l’indipendenza, associarsi a un altro stato o comunque a poter scegliere autonomamente il proprio ordinamento politico.

L’autodeterminazione è un diritto inderogabile, cioè è un principio supremo ed irrinunciabile del diritto internazionale, per cui non può essere soppresso mediante convenzione internazionale.

Colonialismo = Il colonialismo è la politica di uno Stato che ha come scopo la conquista di nuovi territori sui quali esercitare il controllo economico delle risorse, imporre le proprie leggi e assoggettare culturalmente i popoli colonizzati.

Comunitarismo = Con questo termine s’identificano un insieme di filosofie e correnti politiche che intendono costruire un’alternativa al sistema sociale imperante, considerato culturalmente ed economicamente spersonalizzante ed omologante.

In Sardegna il comunitarismo pone come priorità l’affermazione del bene comune, la legittimità della designazione da parte della comunità delle idee di giusto e di bene, la concezione dell’individuo come persona vivente in un contesto sociale e comunitario e non come individuo astratto da ogni legame. In tal senso per il comunitarismo sardo ha priorità la solidarietà sociale, la valorizzazione e la difesa dell’identità culturale nel quadro di una società democratica, non chiusa, e nella quale la sfera politica e quella sociale non siano subordinate agli interessi economici e speculativi delle lobbies affaristiche private e/o statali.

Indipendenza = L’Indipendenza è la situazione in cui un Paese non è sottomesso all'autorità di un altro.

Si distingue dall'autonomia, nella quale continuano a esistere dei vincoli istituzionali tra i due territori, tramite i quali uno può avere potere decisionale su determinate materie (competenza) e il centralismo, in cui il potere centrale possiede tutte le competenze.

L'indipendenza è spesso un'emancipazione da un potere come ad esempio il colonialismo.

Nazionalismo = Il Nazionalismo nella sua eccezione positiva enuncia precisi principi giuridici e giurisdizionali che consistono nel riconoscimento di un diritto dei popoli all’autodeterminazione, ossia a scegliersi il tipo di vita e di governo che credono migliore.

Nazione = La Nazione è quell’insieme d’individui che avendo in comune caratteristiche quali la storia, la lingua, il territorio e la cultura s’identificano in una specifica identità cui essi sentono di appartenere legati da un sentimento di solidarietà e dalla condivisione di un destino comune.

Patria = La Patria (dal latino = la terra dei padri) corrisponde al concetto di nazione e paese natio, interiorizzato e idealizzato.

Patriottismo = Il patriottismo indica l'attitudine di gruppi o individui a manifestare sentimenti di orgoglio per i progressi conseguiti o la cultura sviluppata dalla patria e il desiderio di conservarne e/o affermarne il carattere ed i costumi.

Repubblica = La Repubblica è un ordinamento di uno Stato nel quale le cariche non sono ereditarie ma elettive ed il potere è nelle mani del popolo il quale lo esercita direttamente o indirettamente tramite l'istituto della rappresentanza parlamentare.

Sciovinismo = Lo sciovinismo è una manifestazione eccessiva ed aggressiva di patriottismo e/o di nazionalismo.

Stato = Lo Stato è un’istituzione territoriale, in quanto individuato da una porzione di territorio che è soggetta alla sua sovranità. Lo Stato è superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale la sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti reciproci; per tale ragione lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano al suo interno, indipendente nei confronti degli altri stati.

Zirichiltaggia = Lucertolaio (IT); luogo d’incontro e di connessione delle moltitudini politiche, socio-culturali e ambientali sarde (Ns. def. pol.).





on 18:31 by Juanne Pili |   Edit

domenica 9 ottobre 2011

Intervista alla Brigata Klandestina

Brigata Klandestina

"STESSO SANGUE"


La primavera del 2011 ha segnato l’uscita dell’ultimo lavoro della Brigata Klandestina, la crew sassarese che, nel corso di oltre un decennio di attività musicale ha dato vita ad un “rap combat” dallo stile inconfondibile, del tutto anticommerciale che offre uno spaccato della realtà così come la si vive. Ne parliamo con uno di loro: Konflitto.

Quando è nato e come si è formato il vostro gruppo?

Brigata Klandestina è nata una decina di anni fa: dall'unione di alcune crews legate al mondo hip hop composte da writers e rappers (le principali sono l'IRA, la TDF e la MCP). In questi anni nella BK sono rimasti i componenti della crew IRA: ma ormai il nome Brigata Klandestina lo sentiamo dentro di noi e continuiamo a 'spingerlo'.

Chi sono gli attuali componenti Brigata Klandestina?

Konflitto, Sam61 e Inc.B

Che altro lavoro musicale avete prodotto prima di “Stesso Sangue”?

"Stesso Sangue", il nostro ultimo lavoro, è stato preceduto da molti altri cd. ma questo suona decisamente meglio: grazie ai mezzi, pian piano accumulati, e all'esperienza maturata.

Parlami del vostro stile musicale, che genere fate?

Noi facciamo RAP, ma ormai cosa è il RAP? Così se ci volessimo spiegare meglio, la Brigata fa “rap combat” o "conscious rap". Il nostro rap è strettamente legato al motto: "Keep it real" ("mantienilo reale"). Il rap di denuncia e cosciente è il genere che più ci da modo di esprimere noi stessi senza grandi spese.

Avete collaborazioni con altri musicisti?

Le collaborazioni nel Mondo Hip Hop sono la norma: in questo periodo l'MPC ha organizzato, ad esempio, due mixtape "Esse Esse War" Vol. I e II: in cui canta tutta la scena di Sassari, con collaborazioni tra le varie crews. È parso di ritornare ai vecchi tempi: in cui i rappers si univano per produrre cd collettivi tramite i quali farsi conoscere.

Quali esperienze musicali avete avuto dal vivo?

Nell'arco di questo decennio abbiamo suonato ovunque: dalle piazze delle città ai circoli dei paesini più sconosciuti. Mi pare di ricordare che la nostra prima uscita fu durante un concerto della CGIL ad Alghero: inizialmente ci chiesero di 'moderare' i nostri testi e, vedendo che noi si continuava a fare a modo nostro, ci tolsero l'audio. Credo che questo evento, oggi giorno, possiamo leggerlo con grande soddisfazione.

Nei vostri testi di cosa parlate, che genere messaggio volete trasmettere a chi vi ascolta? C’è un messaggio politico che volete comunicare?

I nostri testi raccontano ciò che viviamo: il degrado costante di questa Società capitalista a cui contrapponiamo la nostra creatività. Per noi il Rap è un mezzo di rivalsa, se chi lo fa, in primis, si tiene informato e cosciente. Ai tempi in cui iniziammo, ancora si registrava su cassetta, era una maniera per parlare alla gente e farla ragionare sul Presente. Oggi, per noi, è ancora un mezzo per comunicare delle idee e suggerire l'azione conseguente ad esse. A mio avviso ogni azione e parola di ogni uomo è politica in quanto influenza la Società in cui vive: anche quando si sostiene di non fare politica o di essere contro la politica.

Che pubblico vi segue?

E' un pubblico eterogeneo: da coloro che ascoltano solo rap a quelli che, come me, premiano una musica impegnata, di qualunque genere musicale essa sia. Dai ragazzini ai loro genitori dunque.

Qual è il brano più rappresentativo del vostro ultimo lavoro?

Di sicuro "Stesso Sangue" che da il titolo al cd. una canzone che comincia narrando di noi (ossia io e mio fratello), per poi estendersi a coloro che ci circondano. Dal particolare al generale: per spiegare che lo "Stesso Sangue" scorre nella maggioranza della Società. Una moltitudine di persone che vivono le stesse esperienze di vita, determinate da una minoranza.

Qual è il vostro legame con la Sardegna?

Il nostro legame è forte e indissolubile. E' rimasto tale anche quando sono partito per finire gli studi a Pisa collaborando con il circolo Sardigna Ruja (oggi Arbeschida Sarda) che proponeva frammenti di cultura, storia e musica sarda fuori dalla Sardegna per aggregare altri sardi e cominciare con essi un dibattito legato al Colonialismo.

In "Quest'è guerra" nel ritornello si canta: "Quando dico Sardegna, voi rispondete: quest'è guerra!". È una guerra fatta a colpi di disoccupazione e conseguente emigrazione, speculazione, inquinamento militare e industriale cui non seguono le bonifiche e repressione nei confronti di quelle persone che dissentono da tutto questo. È una guerra che trova in prima linea sempre più sardi, perché il colonialismo avanza e si scontra con le comunità, come quelle che da poco hanno difeso il loro territorio dall'occupazione militare e dai radar, come coloro che, tra le intimidazioni, continuano a lottare contro le basi NATO o per il lavoro.

Secondo te quali prospettive offre questa terra ai giovani? Pensi che l’indipendenza possa essere un’opzione valida, una strada percorribile?

Ci guardiamo attorno e gli esercizi commerciali in città chiudono per via dei Centri Commerciali, l'industrializzazione è stata una chimera e oggi lo si sta realizzando, le borse di studio sono sempre meno perché mancano i soldi... L'unica prospettiva rimasta è firmare un contratto di lavoro a tempo determinato, magari in un Centro Commerciale, e vivere in maniera precaria, senza badare troppo ai propri diritti. Oppure si può pur sempre partire in armi per una Terra sconosciuta a calpestare i diritti altrui, per percepire uno stipendio dallo Stato e arrivare anche alla pensione... se prima non si salta su una mina e si diventa un “eroe”.

L'Indipendenza è un'Utopia, in senso buono, ciò vuol dire che più persone credono in essa e più questa ha possibilità di realizzarsi. L'indipendenza deve essere un lavoro collettivo, dove ogni persona sia leader di se stesso, cioè abbia una coscienza tale da non delegare il proprio pensare a qualcuno di più carismatico, e possa mettere a frutto le proprie competenze e potenzialità. Dunque Indipendenza non per far divenire la Sardegna un piccolo Stato italiano influenzato dalle lobby sarde, bensì per porsi, dando esempio al Mondo, come Civiltà che segue un nuovo modello economico fondato sulle persone e non sulle merci e il soldo. Il come arrivare a ciò non è ancora scritto, sarà il frutto di un Popolo cosciente che vorrà sopravvivere al declino dell'Impero. L'altra strada percorribile è quella su cui siamo e che ci raccontano ogni giorno i telegiornali. Per me la scelta è scontata: il mio rap serve per far si che anche altri percepiscano questo.

Avete progetti per il futuro?

Nessuno, come tutti, si vive alla giornata... e si aspetta l'atterraggio.

Tàtari 10/10/2011

Pregontas de Daniela Piras

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Brigata Klandestina Crew

Brigata Klandestina, il cd “Stesso Sangue” scaricabile da qui.


Posted in  on 13:53 by Juanne Pili |   Edit