mercoledì 7 dicembre 2011

Due storie e una sola speranza: Libertà

Ci sono situazioni lontane da noi, in cui il tema dell’indipendenza è sentito in maniera urgente e pressante ma sulla quale raramente si concentra l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Una di queste situazioni è quella vissuta dal Popolo Saharawi, da oltre un secolo sottoposto a occupazioni illegittime del proprio territorio nazionale, il Sahara Occidentale, che si estende per circa 280.000 Kmq affacciandosi sull’Atlantico per un migliaio di chilometri e confinando con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania. Il Sahara Occidentale è in gran parte desertico ma ricchissimo di risorse minerarie, di materie prime e petrolio, e si trova inoltre a ridosso del mare più pescoso di tutta l'area. Non stupisce il fatto che già dagli inizi del ‘400, ancor prima della scoperta dell’America, la Spagna avesse riversato il suo interesse sulla costa atlantica del Sahara, anche se è solo agli inizi del ‘900 che occupa militarmente il territorio imponendo la propria amministrazione e delimitandone i confini. È in questo periodo che nascono i primi nuclei nazionalisti in difesa della cultura del Popolo Saharawi, fortemente legata a una tradizione nomade e a una organizzazione sociale di tipo tribale.

La resistenza contro l’assimilazione del territorio viene organizzata prima dal Movimento di Liberazione del Sahara (MLS) e successivamente dal Fronte Polisario (Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Rio de Oro) che rappresenta tutt’oggi le istanze di libertà e indipendenza di questa nazione.

Da trentasei anni il Sahara Occidentale vive una grave crisi umanitaria, a cui la comunità internazionale riserva una scarsa attenzione. È infatti dal 1975, quando la Spagna abbandona il Sahara e il Marocco invade militarmente il territorio, che il Popolo Saharawi per sfuggire al genocidio si rifugia nel deserto algerino (Hammada di Tindouf), dove attualmente vivono ammassati nei campi profughi circa 400.000 persone, al di là di una successione di muri e campi minati che si estendono per ben 2.720 km nel deserto; la muraglia più grande al mondo di cui nessuno parla, costruita dal Marocco su circa il 90% del territorio Saharawi.

È sullo sfondo di questa realtà sconcertante e scomoda all’opinione pubblica occidentale che nella notte tra il 22 e il 23 ottobre scorso avviene il rapimento di Rossella Urru, la cooperante sarda di 29 anni originaria di Samugheo (OR), da due anni impegnata nei campi profughi come rappresentante del CIPS (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli) e dei suoi due colleghi Spagnoli: Ainhoa Fernandez de Rincon dell’Associazione Amici del Popolo Saharawi e Enric Gonyalons dell’organizzazione spagnola Mundobat.

Crediamo non si possa affrontare la questione del rapimento di Rossella e degli altri due cooperanti senza portare all’attenzione le cause dei problemi che riguardano l’area nella quale questi svolgevano la loro attività di solidarietà, portando un aiuto concreto a un Popolo da decenni vittima della barbarie del colonialismo e dell’indifferenza internazionale.

Parlare della vicenda di Rossella Urru significa anche e soprattutto parlare del Popolo al quale ha portato il suo aiuto e dedicato il suo lavoro. Significa parlare della determinazione di un popolo costretto a sopravvivere in condizioni ambientali ed economiche difficilissime, ma che nonostante tutto continua ricercare la mediazione internazionale per il riconoscimento del suo diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza.

La risoluzione della crisi sarebbe dovuta arrivare con il referendum promesso dall’ONU nel 1991, ma ostacolato dal Marocco con la complicità di diversi paesi europei, che continuano a sottoscrivere accordi e trattati, come quello del 2005 sulla pesca nel mare del Sahara Occidentale, attraverso i quali viene riconosciuta indirettamente l’egemonia marocchina sui territori occupati.

La vicenda di Rossella Urru e degli altri due cooperanti rapiti va quindi inserita all’interno di un contesto internazionale nel quale ad alimentare situazioni di pericolo e di crisi sono spesso gli affari lucrosi degli stati occidentali e le politiche di aggressione e di rapina perpetrate a danno di popoli e nazioni in lotta per la loro indipendenza.

Il rapimento di Rossella, figura simbolo della solidarietà e riferimento di tutte le organizzazioni mondiali che operano in quell'area dell'Africa, non deve scoraggiare la solidarietà internazionale né tantomeno destabilizzare il già difficile cammino politico per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale e la lotta per il riconoscimento della “Repubblica Araba Saharawi Democratica” (RASD) da parte di tutta la comunità internazionale.

Con grande preoccupazione dobbiamo però rilevare che a distanza di oltre 40 giorni dal rapimento dei tre cooperanti, nei circuiti mediatici italiani vige una sorta di silenzio inquietante, quasi a dimostrazione che per l’Italia esistono ostaggi di serie A e ostaggi di serie B di cui parlare a seconda della convenienza politica del momento.

Tenere alta l’attenzione sulla vicenda è importante per far crescere la pressione sulle istituzioni algerine e sul Ministero degli Esteri italiano, affinché se ne occupino con il massimo impegno e risolutezza. Nell’esprimere massima solidarietà a Rossella e agli altri due cooperanti, siamo certi che nell’Isola non si spegnerà l’attenzione dell’opinione pubblica finché Rossella non sarà nuovamente libera.

Aristanis 07/12/11

Assòtziu Zirichiltaggia

Foto: Rossella Urru a Rabouni (estratta dal sito: www.rossellaurru.it)