Le
incontentabili lobby del petrolio sono pronte a setacciare come possenti “unità
cinofile” un’area rettangolare di 21 mila km2 nel mare di Sardegna
con l’intento di ricercare e quindi fiutare possibili idrocarburi nel
sottosuolo marino. E’ questa l’ennesima e obsoleta frontiera degli “Oil Dogs”.
L’area di prospezione si estende dall’Asinara sino alla costa dell’Oristanese
coinvolgendo anche il tratto di mare delle isole Baleari. La zona di interesse
è già da tempo entrata nell’orbita delle fameliche compagnie petrolifere che
guardano al Mar Mediterraneo come un vero e proprio Eldorado. Eppure non serve
l’occhio vigile di un critico d’arte per rendersi conto di quante piattaforme
già stazionano come quadri d’autore nella sempre più desolata tela marina. E
quello che prima era considerato un mare salubre, è oggi diventato un vero e
proprio bacino dei veleni: di fatto transitano via nave oltre 350 milioni di
tonnellate annue di idrocarburi; circa un 10% di petrolio deborda durante
l’azione di trivellazione e un altro 3% proviene da incendi o peggio ancora da
collisioni navali. Se poi consideriamo che il bacino del Mar Mediterraneo
rappresenta lo 0,7% della superficie marina mondiale e che ha un tempo di
rinnovamento della sua massa d’acqua superficiale di circa 80 anni, non è poi
così difficile rendersi conto perché sia diventato nel tempo il mare con il più
alto tasso d’inquinamento da petrolio, ma questo non sembra turbare i
febbricitanti cercatori di oro nero che invece rilanciano le loro richieste di
prospezione e di ricerca con la complicità di una classe politica completamente
disinteressata alla salvaguardia ambientale, continuando così ad alterare un
ecosistema già abbondantemente compromesso in nome di una mentalità speculativa
senza limite. Tutto questo avviene oltretutto senza che si tenga minimamente
conto del reale fabbisogno economico delle popolazioni che si affacciano sul
Mediterraneo, alle quali non sarà arrecato alcun reale vantaggio economico e
che dovranno invece subire nel lungo periodo un danno enorme in termini
ambientali.
Non vi è
alcuna certezza sulla quantità di idrocarburi presenti nei potenziali
giacimenti nei fondali del Mediterraneo ma anche se vi fosse riteniamo che la
scelta di effettuare tale ricerca dovrebbe ricadere sulle popolazioni che
invece non vengono mai coinvolte dalle decisioni prese dallo stato italiano a favore
evidentemente degli interessi delle multinazionali energetiche interessate.
Contrari ad
ogni ipotesi di indagine esplorativa a largo delle coste sarde, sollecitiamo
una fattiva convergenza d’intenti da parte di tutte le organizzazioni
indipendentiste e i comitati ambientalisti sensibili alla tematica, verso un
solido fronte di dissenso nei confronti dell’ennesimo scempio a danni delle
nostre più preziose ricchezze naturalistiche.
Nessuno può
imporre alla Sardigna forme di sfruttamento energetico lontani dal buon senso e
dagli interessi collettivi del nostro popolo, specialmente dopo lo scempio
ambientale creato da una selvaggia industrializzazione e modelli di sviluppo
rivelatosi dannosi e fallimentari. Auspichiamo
pertanto una presa di posizione netta della RAS contro l’assalto delle
compagnie energetiche sui nostri mari poiché è ormai chiaro che perseguire
questi progetti significa distruggere l’identità e il futuro economico della
Sardegna.
Associazione Zirichiltaggia
Approfondimenti:
È risaputo che
un eventuale nuovo sistema di perforazione offshore - che poi andrebbe ad
aggiungersi alla già invasiva costellazione di piattaforme fisse o mobili -
comporta inevitabilmente smottamenti e tumulti del fondale marino finendo per
recare danni agli organismi bentonici e non solo. La letteratura scientifica
d’altra parte ha evidenziato come la prospezione geofisica con sistema di tipo
– airgun o watergun – sia in grado di provocare danni relativi al sistema
uditivo, alla linea laterale, alla vescica natatoria e determinare anche
alterazioni sulla biologia comportamentale, sullo sviluppo embriologico e sulla
fitness di pesci e mammiferi marini. Ma che cos’è la tecnica airgun? Consiste
nel rilasciare aria compressa la cui energia è convertita poi in onde meccaniche
che diffondono in modo continuo nel fluido ad una data velocità, raggiungendo
una scala logaritmica di 210 decibel, ovvero un miliardo di volte più intenso
di un concerto rock. Ma in un fondale marino il grado di tollerabilità non
supera i 180 decibel come ha spiegato il fisico Maria Rita D'Orsognae, (docente
universitario della CSUN Math Department di Los Angeles) e pertanto ogni sparo
è da considerarsi estremamente pericoloso in quanto non solo può interferire
nell’orientamento delle specie marine, basti pensare alle balene, ma d’altra
parte può risultare potenzialmente letale per le diverse popolazioni che
prendono parte alla comunità marina. A questa si aggiunge l’illuminante ricerca
condotta dall’ISPRA - Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale – che spiega come: “il crescente livello di acidificazione dei mari,
dovuto alle maggiori quantità di CO2 nell’acqua provoca un aumento
dell’inquinamento acustico sottomarino, poiché ad una crescita del grado di
acidità corrisponde una riduzione della capacità dell’acqua di assorbire ed
attenuare le frequenze acustiche”.
Tutto questo
non solo finisce per alterare il delicato ecosistema marino, ma determina
ancora una volta un incremento del grado di vulnerabilità di tutti quei punti
caldi - hot spot - di biodiversità presenti all’interno del Mediteranno e che
fanno di questo uno dei più importanti ecosistemi al mondo. Inoltre un impianto
di perforazione sia di terra che di mare rientra tra le attività antropiche che
contribuiscono all’alterazione del normale ciclo del carbonio, e questo si
aggiunge ai cambiamenti di salinità e di acidificazione che i nostri oceani
stanno registrando negli ultimi cinquant’anni, finendo per alterare persino il
ciclo dell’acqua, uno dei più fondamentali cicli dal quale dipendono tutti gli
altri. È bene perciò comprendere quanto la somma di queste possa gravare
pesantemente anche e soprattutto sul
riscaldamento globale del pianeta e non solo sulla disponibilità di nutrienti
all’interno di un ecosistema.
Al giorno
d’oggi stiamo assistendo ad un rapido decadimento dei biosistemi non più capaci
di produrre rispetto alla capacità di carico e l’intervento dell’uomo è il
principale responsabile di questo repentino deficit ecologico. La vita
produttiva di un pozzo poi è destinata ad esaurirsi in breve tempo e ciò
comporta la necessità di effettuare seconde trivellazioni altrove per mantenere
la produzione stabile. Per non parlare poi degli esorbitanti costi esponenziali
di gestione e manutenzione che gli impianti di perforazione richiedono. Si
entra così in un circolo vizioso senza fine, che per certi aspetti ricorda
molto la controversa vicenda delle centrali nucleari.
L’azione di
perforazione del suolo marino necessita poi l’utilizzo di speciali fluidi o
fanghi, tra questi si annoverano: fanghi di natura sintetica (Synthetic
Drilling Muds); fanghi a base di acqua (Water Drilling Muds) e fanghi a base di
oli minerali (Oil Drilling Muds). In generale i fanghi agevolano da una parte
la foratura del fondale, raffreddando e lubrificando lo scalpello e dall’altra
consentono la risalita e la rimozione in superficie di detriti generatesi dalla
frantumazione della roccia durante l’attività di scavo. Salvo poi scoprire che
questi fanghi che sono difficili da smaltire se non a costi proibitivi, sono
anche altamente tossici in quanto contengono elementi come: cadmio, cromo,
bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame, e che per effetto cumulativo
finiscono inevitabilmente per contaminare la catena alimentare. Persino i fluidi
perforanti a base di acqua non sono come spesso ci vogliono far credere
biodegradabili, la loro composizione presenta argille bentoniche, solfato di
bario, ematite, carbonato di calcio e secondo l’EPA - Enviromental Protection
Agency degli Stati Uniti d’America – si possono riscontrare anche tracce di
metalli pesanti. Di fatto un secondo studio condotto dall’ente costiero
governativo statunitense - National
Research Council - ha dimostrato come almeno settanta miscele diverse di
fluidi perforanti a base di acqua abbiano avuto effetti tossici su oltre un
centinaio di specie marine. Se poi consideriamo i dati dell'OMS è possibile
desumere come l'inquinamento sia la prima causa di morte nel pianeta. Ecco che,
cambiare il modello energetico è diventata una necessità, una nuova frontiera
da perseguire, anche perché abbiamo da sempre considerato l’ambiente come un
pozzo senza fine in grado di contenere risorse illimitate, e supportare
qualsiasi nostra attività maldestra, ma solo dopo che siamo stati risucchiati e
abbiamo toccato il fondo ci siamo resi conto che per salvaguardare l’ambiente
c’è in realtà bisogno di una chiara e forte pianificazione sociale che
coinvolga tutti a discapito di un decentramento dei poteri.
Serve quindi
costruire istituzioni popolari alternative che trasferiscano il controllo delle
decisioni sugli investimenti nelle mani della collettività. Ad oggi il
“principale architetto” della politica economica non è la popolazione ed è
proprio questa l’assenza che impedisce di agire nell’immediato per la tutela
del pianeta. La Sardegna da questo punto di vista ha davanti a se una grande
sfida, ma questa occorre che venga raccolta e perseguita nell’interesse dei
sardi da una nuova classe dirigente, attenta alle questioni ambientali e capace
di valorizzare le nostre risorse naturali affinché costituiscano il volano
dell’intera economia della Sardegna, e crediamo davvero che questa sia la sola
strada percorribile.
Assòtziu
Zirichiltaggia
Nugòro,
09/03/2014
Edoardo
Cossu