martedì 5 novembre 2013

Ad un mese dal convegno delle gioventù indipendentiste: le basi per una lotta permanente.

Di Andrìa Pili 

Lo scorso 27 settembre, nell'ateneo cagliaritano, si è tenuto il convegno delle gioventù indipendentiste europee, organizzato dal comitato studentesco SCIDA 2013, sotto il tema della "Storia del sindacalismo indipendentista universitario nel contesto europeo." A questo hanno preso parte la Ghjuventù Indipendentista (Corsica) e lo Sinn Fein-Republican Youth (Eire). Il carattere storico dell'evento è stato senz'altro importante, non solo perché è stata la prima volta in cui un simile evento si è tenuto nella nostra nazione, ma anche perché ci ha consentito di conoscere le vicende dei movimenti ospiti, quanto la storia delle aggregazioni studentesche nelle nostre isole. Ma non si è trattato soltanto di una mera celebrazione di ricordi del passato; si è constatata la persistenza della repressione politica in tutte le terre oppresse dagli Stati europei, specialmente a danno del gruppo corso nostro ospite, il quale ha pagato duramente la sua rinascita – come movimento studentesco eminentemente politico, rispetto ai propri colleghi nazionalisti – con le intimidazioni da parte delle forze dell'ordine francesi (citazioni, arresti, galera). Particolare emozione vi è stata con il racconto delle vicende del giovane patriota della GI Nicolaju Battini, di 20 anni, il quale si trova nel carcere di Parigi in attesa di giudizio, il quale – probabilmente – arriverà non prima dei prossimi tre anni. Spazio importante dell'incontro ha avuto anche la dimensione temporale presente, il quale ha evidenziato le analogie tra le condizioni dei nostri paesi. Ad esempio, Corsica e Sardegna si ritrovano svantaggiate nei trasporti da e per l'isola, quanto in un sistema scolastico del tutto basato sulle linee guida centrali (il rappresentante corso Santoni ha parlato degli istituti agrari corsi, nei quali lo studio è basato sul sistema agricolo francese).

Ritengo che la tematica più importante, fra quelle trattate, sia quella relativa al futuro dei nostri paesi, delle nostre organizzazioni, della nostra collaborazione. La relazione di SCIDA 2013 ha evidenziato – seguendo un filo logico che ha caratterizzato, finora, tutta la sua elaborazione – l'esistenza di una politica europea a due dimensioni: una statale ed una popolare-nazionale, cui si riferiscono il fenomeno dei “diritti”, della “Pace” e della “stabilità” europea contrapposto alla Realtà di un'Europa in preda a conflitti tra istituzioni politiche in lotta fra loro (come evidenziato dalla recente crisi economica europea) e a sua volta unite dalla repressione, da una vera e propria guerra, contro le nazioni in lotta per la propria emancipazione. Tale conflitto – per quanto ci si sforzi di nasconderlo – esiste e può vincere anche contro l'Europa degli Stati, usando gli stessi strumenti offerti da essa (come dimostra l'eroica lotta della patriota basca Ines del Rio, per il riconoscimento dei suoi diritti umani e quelli degli altri prigionieri politici baschi sotto lo Stato spagnolo) può essere sanato soltanto con l'indipendenza di tutte le nazioni, e quindi con la fine del modello dello Stato-Nazione occidentale. Modello su cui questa Europa politica ed economica si basa, esprimendosi particolarmente contro i paesi privi di uno spazio politico sovrano; per noi giovani, si è manifestata attraverso il Processo di Bologna (politica europeista dell'educazione superiore volta alla perifericizzazione degli atenei, al fine di creare dei centri di eccellenza a scapito di nazioni come la nostra, il cui diritto allo studio è ostacolato e compromesso) e la flessibilità del lavoro. Tutte politiche dettate, chiaramente, dall'ideologia neoliberale, volta a fondare una società governata interamente dal Mercato e, in particolare, dal progetto europeista della creazione di un grande polo capitalista continentale, che possa competere con gli altri attualmente esistenti nel globo. Perciò si punta alla mercificazione del lavoro quanto dell'educazione, attraverso il precariato quanto la costruzione di un sistema educativo del tutto prono agli interessi del mercato, cui noi studenti sardi abbiamo dovere di opporci per coerenza anticolonialista.

Che posizione devono assumere le gioventù indipendentiste europee di fronte a questa Europa? La posizione di SCIDA 2013 è stata molto chiara: non possiamo accettare l'attuale orientamento politico-sociale-economico dell'Unione Europea attuale; allo stesso tempo, dobbiamo marcare con decisione le distanze da un crescente antieuropeismo di stampo sciovinista, il quale non va verso l'emancipazione bensì vorrebbe la restaurazione della piena sovranità degli Stati che ci opprimono. Al fine di evitare la nuova ascesa dei nazionalismi di Stato (pericolo reale, continuamente mostratoci da fenomeni quali il crescente consenso verso i partiti di estrema destra – vedi Francia, Grecia, l'indubbia crescita di CasaPound – quanto verso politiche di stampo razzista) occorre pensare ad un'altra forma di federalismo europeo, purché basato sull'autodeterminazione dei popoli e sulla parità fra essi. La lotta contro questa Europa non può che vedere protagonisti noi giovani, noi indipendentisti. Per questo è necessaria la creazione di una rete fra le gioventù indipendentiste europee, sui 6 punti che SCIDA ha proposto: contro l'Europa degli Stati; contro il Processo di Bologna; contro le politiche lesive dei giovani lavoratori; per una collaborazione culturale; per una condivisione di mezzi di comunicazione (specie radio e web); per una comunione di buone pratiche di lotta politica e di rappresentanza studentesca. Ghjuventù Indipendentista e Sinn Fein Republican Youth hanno riconosciuto l'importanza di tale ambizioso progetto, quanto l'importanza di costruire nuovi rapporti federalistici, guardando non solo all'Europa ma anche al Mediterraneo (dimensione geopolitica più congeniale a Corsica e Sardegna) quanto l'esigenza di costruire una scuola che crei individui liberi ed eguali. Ci auguriamo che tale progetto possa lavorare e dare i suoi frutti. Infatti,  considerando il declino generale della politica di sistema, escludente ogni progetto di tipo emancipativo e volta all'appiattimento delle differenze, la nostra collaborazione internazionale acquisterebbe un senso molto più ampio dei confini delle medesime nazioni. Non solo perché non sarà possibile alcuna liberazione umana, alcuna autentica unione federalista tra i popoli del mondo, fino a quando sussisteranno rapporti di dominazione; ma anche perché nella tanto decantata – in Europa – fine delle ideologie, entro un'uguaglianza di fatto tra i principali poli parlamentari degli Stati, soltanto noi indipendentisti di tutta Europa possiamo – con pieno diritto – sollevare la bandiera della Libertà per tutti.