martedì 11 marzo 2014

“Oil Dogs”: le incontenibili lobby del petrolio

Le incontentabili lobby del petrolio sono pronte a setacciare come possenti “unità cinofile” un’area rettangolare di 21 mila km2 nel mare di Sardegna con l’intento di ricercare e quindi fiutare possibili idrocarburi nel sottosuolo marino. E’ questa l’ennesima e obsoleta frontiera degli “Oil Dogs”. L’area di prospezione si estende dall’Asinara sino alla costa dell’Oristanese coinvolgendo anche il tratto di mare delle isole Baleari. La zona di interesse è già da tempo entrata nell’orbita delle fameliche compagnie petrolifere che guardano al Mar Mediterraneo come un vero e proprio Eldorado. Eppure non serve l’occhio vigile di un critico d’arte per rendersi conto di quante piattaforme già stazionano come quadri d’autore nella sempre più desolata tela marina. E quello che prima era considerato un mare salubre, è oggi diventato un vero e proprio bacino dei veleni: di fatto transitano via nave oltre 350 milioni di tonnellate annue di idrocarburi; circa un 10% di petrolio deborda durante l’azione di trivellazione e un altro 3% proviene da incendi o peggio ancora da collisioni navali. Se poi consideriamo che il bacino del Mar Mediterraneo rappresenta lo 0,7% della superficie marina mondiale e che ha un tempo di rinnovamento della sua massa d’acqua superficiale di circa 80 anni, non è poi così difficile rendersi conto perché sia diventato nel tempo il mare con il più alto tasso d’inquinamento da petrolio, ma questo non sembra turbare i febbricitanti cercatori di oro nero che invece rilanciano le loro richieste di prospezione e di ricerca con la complicità di una classe politica completamente disinteressata alla salvaguardia ambientale, continuando così ad alterare un ecosistema già abbondantemente compromesso in nome di una mentalità speculativa senza limite. Tutto questo avviene oltretutto senza che si tenga minimamente conto del reale fabbisogno economico delle popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo, alle quali non sarà arrecato alcun reale vantaggio economico e che dovranno invece subire nel lungo periodo un danno enorme in termini ambientali.

Non vi è alcuna certezza sulla quantità di idrocarburi presenti nei potenziali giacimenti nei fondali del Mediterraneo ma anche se vi fosse riteniamo che la scelta di effettuare tale ricerca dovrebbe ricadere sulle popolazioni che invece non vengono mai coinvolte dalle decisioni prese dallo stato italiano a favore evidentemente degli interessi delle multinazionali energetiche interessate.

Contrari ad ogni ipotesi di indagine esplorativa a largo delle coste sarde, sollecitiamo una fattiva convergenza d’intenti da parte di tutte le organizzazioni indipendentiste e i comitati ambientalisti sensibili alla tematica, verso un solido fronte di dissenso nei confronti dell’ennesimo scempio a danni delle nostre più preziose ricchezze naturalistiche.

Nessuno può imporre alla Sardigna forme di sfruttamento energetico lontani dal buon senso e dagli interessi collettivi del nostro popolo, specialmente dopo lo scempio ambientale creato da una selvaggia industrializzazione e modelli di sviluppo rivelatosi dannosi e fallimentari.  Auspichiamo pertanto una presa di posizione netta della RAS contro l’assalto delle compagnie energetiche sui nostri mari poiché è ormai chiaro che perseguire questi progetti significa distruggere l’identità e il futuro economico della Sardegna.

Associazione Zirichiltaggia

Approfondimenti:
È risaputo che un eventuale nuovo sistema di perforazione offshore - che poi andrebbe ad aggiungersi alla già invasiva costellazione di piattaforme fisse o mobili - comporta inevitabilmente smottamenti e tumulti del fondale marino finendo per recare danni agli organismi bentonici e non solo. La letteratura scientifica d’altra parte ha evidenziato come la prospezione geofisica con sistema di tipo – airgun o watergun – sia in grado di provocare danni relativi al sistema uditivo, alla linea laterale, alla vescica natatoria e determinare anche alterazioni sulla biologia comportamentale, sullo sviluppo embriologico e sulla fitness di pesci e mammiferi marini. Ma che cos’è la tecnica airgun? Consiste nel rilasciare aria compressa la cui energia è convertita poi in onde meccaniche che diffondono in modo continuo nel fluido ad una data velocità, raggiungendo una scala logaritmica di 210 decibel, ovvero un miliardo di volte più intenso di un concerto rock. Ma in un fondale marino il grado di tollerabilità non supera i 180 decibel come ha spiegato il fisico Maria Rita D'Orsognae, (docente universitario della CSUN Math Department di Los Angeles) e pertanto ogni sparo è da considerarsi estremamente pericoloso in quanto non solo può interferire nell’orientamento delle specie marine, basti pensare alle balene, ma d’altra parte può risultare potenzialmente letale per le diverse popolazioni che prendono parte alla comunità marina. A questa si aggiunge l’illuminante ricerca condotta dall’ISPRA - Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – che spiega come: “il crescente livello di acidificazione dei mari, dovuto alle maggiori quantità di CO2 nell’acqua provoca un aumento dell’inquinamento acustico sottomarino, poiché ad una crescita del grado di acidità corrisponde una riduzione della capacità dell’acqua di assorbire ed attenuare le frequenze acustiche”. 

Tutto questo non solo finisce per alterare il delicato ecosistema marino, ma determina ancora una volta un incremento del grado di vulnerabilità di tutti quei punti caldi - hot spot - di biodiversità presenti all’interno del Mediteranno e che fanno di questo uno dei più importanti ecosistemi al mondo. Inoltre un impianto di perforazione sia di terra che di mare rientra tra le attività antropiche che contribuiscono all’alterazione del normale ciclo del carbonio, e questo si aggiunge ai cambiamenti di salinità e di acidificazione che i nostri oceani stanno registrando negli ultimi cinquant’anni, finendo per alterare persino il ciclo dell’acqua, uno dei più fondamentali cicli dal quale dipendono tutti gli altri. È bene perciò comprendere quanto la somma di queste possa gravare pesantemente anche  e soprattutto sul riscaldamento globale del pianeta e non solo sulla disponibilità di nutrienti all’interno di un ecosistema.

Al giorno d’oggi stiamo assistendo ad un rapido decadimento dei biosistemi non più capaci di produrre rispetto alla capacità di carico e l’intervento dell’uomo è il principale responsabile di questo repentino deficit ecologico. La vita produttiva di un pozzo poi è destinata ad esaurirsi in breve tempo e ciò comporta la necessità di effettuare seconde trivellazioni altrove per mantenere la produzione stabile. Per non parlare poi degli esorbitanti costi esponenziali di gestione e manutenzione che gli impianti di perforazione richiedono. Si entra così in un circolo vizioso senza fine, che per certi aspetti ricorda molto la controversa vicenda delle centrali nucleari.
L’azione di perforazione del suolo marino necessita poi l’utilizzo di speciali fluidi o fanghi, tra questi si annoverano: fanghi di natura sintetica (Synthetic Drilling Muds); fanghi a base di acqua (Water Drilling Muds) e fanghi a base di oli minerali (Oil Drilling Muds). In generale i fanghi agevolano da una parte la foratura del fondale, raffreddando e lubrificando lo scalpello e dall’altra consentono la risalita e la rimozione in superficie di detriti generatesi dalla frantumazione della roccia durante l’attività di scavo. Salvo poi scoprire che questi fanghi che sono difficili da smaltire se non a costi proibitivi, sono anche altamente tossici in quanto contengono elementi come: cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame, e che per effetto cumulativo finiscono inevitabilmente per contaminare la catena alimentare. Persino i fluidi perforanti a base di acqua non sono come spesso ci vogliono far credere biodegradabili, la loro composizione presenta argille bentoniche, solfato di bario, ematite, carbonato di calcio e secondo l’EPA - Enviromental Protection Agency degli Stati Uniti d’America – si possono riscontrare anche tracce di metalli pesanti. Di fatto un secondo studio condotto dall’ente costiero governativo statunitense - National Research Council - ha dimostrato come almeno settanta miscele diverse di fluidi perforanti a base di acqua abbiano avuto effetti tossici su oltre un centinaio di specie marine. Se poi consideriamo i dati dell'OMS è possibile desumere come l'inquinamento sia la prima causa di morte nel pianeta. Ecco che, cambiare il modello energetico è diventata una necessità, una nuova frontiera da perseguire, anche perché abbiamo da sempre considerato l’ambiente come un pozzo senza fine in grado di contenere risorse illimitate, e supportare qualsiasi nostra attività maldestra, ma solo dopo che siamo stati risucchiati e abbiamo toccato il fondo ci siamo resi conto che per salvaguardare l’ambiente c’è in realtà bisogno di una chiara e forte pianificazione sociale che coinvolga tutti a discapito di un decentramento dei poteri.

Serve quindi costruire istituzioni popolari alternative che trasferiscano il controllo delle decisioni sugli investimenti nelle mani della collettività. Ad oggi il “principale architetto” della politica economica non è la popolazione ed è proprio questa l’assenza che impedisce di agire nell’immediato per la tutela del pianeta. La Sardegna da questo punto di vista ha davanti a se una grande sfida, ma questa occorre che venga raccolta e perseguita nell’interesse dei sardi da una nuova classe dirigente, attenta alle questioni ambientali e capace di valorizzare le nostre risorse naturali affinché costituiscano il volano dell’intera economia della Sardegna, e crediamo davvero che questa sia la sola strada percorribile.   

Assòtziu Zirichiltaggia
Nugòro, 09/03/2014
Edoardo Cossu