Forse qualcuno si è chiesto che senso abbia, oggi, il famigerato Sapei, l’elettrodotto da record che collega la Sardegna con il Lazio, per la precisione Porto Torres con Latina, inaugurato (a Latina) il 21 marzo 2011. Il doppio cavo sottomarino capace di trasportare 1000 MW di energia elettrica era stato realizzato in tempi contenuti, 14 mesi per l’approvazione e 48 per il completamento, fatto alquanto insolito quando si parla di infrastrutture in Italia.
Il Sapei doveva servire a trasportare dalla Sardegna all’Italia l’equivalente dell’energia prodotta dalla centrale nucleare che lo Stato italiano voleva impiantare nella piana del Cirras (Oristano). Poi le cose sono andate diversamente: il referendum sardo del 15/16 maggio ha respinto ogni possibilità di installazione di centrali nucleari nell’Isola, e ora vediamo che entra in azione il piano B.
La scelta della Sardegna per ospitare le centrali nucleari, probabilmente tutte le quattro previste dal piano nucleare del governo, non era certo dettata dal caso, dato che è ormai chiaro che la politica dello Stato italiano è quella di utilizzare la nostra isola come serbatoio energetico e servitù di passaggio (vedi Galsi) a piena disposizione della penisola, oltre che come piattaforma militare, discarica per rifiuti tossici, centro per sperimentazioni industriali ecc. Una terra completamente asservita ad interessi estranei e in contrasto con i reali bisogni del Popolo Sardo e del suo territorio.
Il Sapei ormai esiste e ovviamente le imprese che hanno investito nel progetto non possono certo andare in perdita. L’opportunità di sfruttare le potenzialità del cavo si collega oggi alla volontà di installare pale eoliche un po’ ovunque secondo una logica affaristica e speculativa che poco o nulla ha a che fare con l’innovazione e la ricerca di alternative energetiche all’uso di combustibili fossili.
La Sardegna è inoltre già energeticamente autosufficiente, pertanto con l’installazione di nuovi parchi eolici vi sarà una produzione di energia in eccesso rispetto al suo reale fabbisogno, senza che ciò porti ad un ritorno economico a favore dei Sardi in termini di riduzione dei costi delle bollette. Il business dell’eolico infatti non intacca il monopolio dei produttori di energia da combustibili fossili. La crescita del numero dei parchi non è inversamente proporzionale al ridimensionamento delle industrie che ottengono l’energia con metodi tradizionali (petrolio, carbone). Questo perché non esiste da parte dell’attuale classe dirigente la volontà di dotare la Sardegna di un piano energetico che detti le regole di uno sviluppo sostenibile e perché le scelte operate in questo settore dalla giunta Cappellacci hanno di fatto aperto la strada ad una deregolamentazione che ha esposto la nostra terra alle peggiori ed infime mire speculative ed affaristiche delle multinazionali del settore energetico. Multinazionali interessate alla compravendita dei “certificati verdi” attraverso i quali ottenere il finanziamento di vere e proprie “rendite” piuttosto che di investimenti per uno sviluppo intelligente e virtuoso delle fonti di energia rinnovabile.
Tutto questo dimostra ancora una volta quanto la Sardegna sia assoggettata ad una politica coloniale di rapina e sfruttamento delle risorse. Con la complicità e l’incuranza della classe autonomistica sarda assistiamo infatti alla trasformazione di ben 4000 ettari nei territori di Buddusò e Alà dei sardi, in Gallura, in una immensa fabbrica ben “verniciata” di verde con settanta enormi torri, in quello che è stato definito uno dei parchi eolici più grandi d’Europa, e attendiamo l’approvazione di un nuovo progetto che prevede la costruzione di altre trentacinque torri alte novanta metri su 890 ettari nei territori di Ozieri.
Se non saremo capaci di far nascere nell’immediato una forte opposizione popolare a questo genere di affari assisteremo a breve alla trasformazione di intere aree prima incontaminate e di grande interesse naturalistico in vere e proprie zone industriali, a tutti gli effetti dei mostri ecologici che alla fine lasceranno sparsi ovunque nell’Isola, e sulle spalle delle comunità, una quantità enorme di rottami ferrosi da smaltire.
L’incapacità e la scarsa volontà dimostrata dalla Regione Sardegna nel saper gestire il territorio nell’interesse comune ci deve spronare a reagire, mettendo in campo le migliori energie sarde, affinché venga proposto subito un “Piano Energetico Nazionale Sardo” che definisca su quali investimenti puntare e in quale misura per il soddisfacimento del reale fabbisogno energetico della Sardegna, stabilendo infine i luoghi in cui sia possibile installare gli impianti, in un ottica certamente non contraria allo sviluppo delle energie rinnovabili ma che assicuri dei vantaggi economici e occupazionali per la nostra terra.
Anche in questo caso l’invito ad aprire una tavola di discussione sull’argomento è rivolto a tutte le formazioni indipendentiste, da sempre sensibili al problema e consapevoli che sul piano della conquista di una piena “sovranità energetica” si gioca gran parte del futuro della Sardegna.
Tàtari, 15/10/11
Daniela Piras
Giovanni Fara