Il 22 di ottobre s’è tenuto a Sassari, nell’aula magna dell’università centrale, un convegno sulla lingua sarda, organizzato dall’associazione studentesca universitaria “Su Majolu”.
Si è cercato di analizzare, nell’attuale contesto sociale, il rapporto con la lingua sarda, le difficoltà che esistono per la sua riscoperta e diffusione, gli ostacoli che si incontrano nelle istituzioni pubbliche.
Si sono affrontati diversi temi, tra cui quello della scuola. Ambito nel quale si riscontrano, a detta di Joyce Mattu differenti problemi: il fatto che il sardo non esiste in tutta la società sarda, essendo relegato ad uno specifico ambito; l’utilizzo del sardo più che altro per parlare delle tradizioni del passato e mai per il presente (ad esempio per spiegare la matematica); la difficoltà oggettiva riscontrata da una cospicua parte della popolazione di esprimersi in sardo poiché pensa in italiano. Mattu afferma che i motivi che hanno portato a questa situazione sono da ricercarsi nell’assenza di una politica linguistica sarda, nell’insufficienza delle leggi attuali che non realizzano dei sistemi per lanciare effettivamente il bilinguismo, il quale aiuterebbe ad arginare la difficoltà generale riscontrata nell’esprimersi in limba.
La situazione della scuola in Sardegna che si delinea è piuttosto preoccupante: il ministero impone ai maestri di utilizzare esclusivamente la scrittura italiana e la condizione è aggravata dagli insegnanti stessi, ai quali manca la coscienza necessaria a capire che la nostra cultura ha una propria dignità. Al contrario, gli alunni stessi si chiedono: “perché non impariamo la lingua sarda come impariamo l’inglese e il francese?”.
Ci si è soffermati a riflettere sull’importanza che ha l’università dal punto di vista internazionale, di relazioni con altre culture; a questo proposito il Rettore dell’università di Sassari, Attilio Mastino, ci ha ricordato che all’inizio della sua storia, nell’università sassarese si è parlato sia il sardo che lo spagnolo. Segno, a nostro avviso, di una regressione culturale evidente, in quanto uno dei più antichi centri universitari d’Europa, come l’ateneo sassarese, avrebbe potuto coltivare l’insegnamento e l’uso di più lingue, invece ignorate secondo una logica coloniale di soffocamento della cultura precedente dominante.
A presiedere l’incontro Luiseddu Caria, esponente del movimento “A Manca pro s’Indipendentzia”, Caria ha messo in evidenza la regressione causata dall’università nell’attuare il progetto di omologazione linguistica, il quale ha svilito la nostra cultura, provocando sentimenti auto razzisti. A suo avviso, usufruendo della legge che riconosce il diritto di esprimersi nella nostra lingua in tutti gli uffici pubblici, si farebbe un passo in avanti nella strada dell’integrazione. Ad oggi infatti c’è una marcata distinzione nell’uso del sardo e dell’italiano: il primo è usato nei contesti produttivi, l’altro è la lingua “ufficiale” della burocrazia e degli sportelli pubblici.
Per concludere, Caria ha esposto un’idea concreta dell’associazione “Su Majuolu”, per reintrodurre il sardo e le altre lingue storicamente parlate (es. algherese, carlofortino) nelle scuole e formare i professori di domani. La proposta è quella di istituire, a partire dall’anno scolastico 2012/2013, due nuovi corsi di laurea. Il primo in “Scienze della formazione primaria in lingua sarda” e il secondo in “Lingua e letteratura sarda” in cui dovrebbero essere insegnate materie come lingua sarda scritta e orale, glottologia sarda con attenzione alla fonetica, letteratura, storia, filologia sarda. Il corso sarebbe abilitante all’insegnamento del sardo nelle scuole medie.
Per avvalorare la proposta sono stati messi a disposizione dei moduli dove tutti (studenti e non) hanno potuto firmare a favore dell’introduzione dei due corsi.
Si è parlato anche di un interessante progetto ludico proposto da Maria Luisa Pinna Catte, la quale, dopo aver dichiarato di aver imparato il sardo all’età di sessant’anni e ammesso così di avere qualche problema di pronuncia, ha ricordato che l’età ideale per assimilare le lingue è 3/7 anni, età in cui si ha una plasticità tale da permettere l’apprendimento di più lingue contemporaneamente, capacità che diminuisce dopo i 10 anni. Sulla polemica piuttosto attuale che riguarda la scelta della variante di sardo da utilizzare, Pinna afferma che la scelta deve cadere nella lingua materna, cioè la lingua parlata nella propria realtà locale, quella della comunità in cui si vive e che sia la lingua italiana che la lingua sarda si dovranno esprimere entrambe come strumento veicolare, oltre che come lingua parlata: si impara quindi una lingua e la si utilizza per imparare altro. Pinna ha illustrato inoltre una serie di metodi per insegnare il sardo ai bambini, attraverso vari strumenti: libri di fumetti e fiabe, dvd con cartoni animati in cui i personaggi praticano il bilinguismo, burattini e spettacoli di marionette presentati nelle scuole materne, in cui i pupazzi interagiscono con i bambini parlando in sardo e in italiano.
Per quanto riguarda il problema della trasmissione della lingua e del pericolo della sua scomparsa dovuto all’interferenza dell’italiano è intervenuto Diego Corraine. Secondo Corraine il sardo deve riacquistare l’importanza che merita, dalle scuole primarie fino all’università. A suo avviso ognuno di noi deve fare la sua parte in un progetto di riappropriazione della nostra identità nazionale; bisognerebbe aggregarsi in comunità, in associazioni, istituire dei corsi di formazione, scrivere libri sul tema. Far nascere, insomma, un’industria della lingua sarda, favorendo così l’occupazione. I settori strategici da lui individuati sono quelli dell’università, della sanità, dei mezzi di comunicazione, dell’editoria. La lingua, secondo Corraine, acquisisce infatti valore se la si utilizza nelle università, negli uffici e in tutto l’arredamento linguistico. Sono situazioni che ci portano a pensare che la nostra lingua abbia valore, il solo fatto di vederla scritta gli attribuisce un valore pari a quello che oggi conferiamo alla lingua italiana. Anche una semplice indicazione di divieto come “No si potet pippare” all’interno dei circoli serve a dare visibilità alla lingua.
Corraine ha sottolineato che le organizzazione indipendentiste non pongono come elemento primario la questione della lingua e che il movimento linguistico è debole perché è debole il movimento politico; ha messo in risalto inoltre che la lingua sta scomparendo perché il 70% delle persone adulte continuano a praticare l’uso del sardo, mentre soltanto il 13% dei giovani lo conoscono e lo parlano.
Altri interventi si sono alternati, sia da parte di esponenti del mondo universitario che da semplici ospiti. In sintesi è stato un incontro molto partecipato e interessante. La giornata è proseguita la sera con un concerto in piazza università dove si sono esibiti diversi gruppi, tutti in lingua sarda:, Tzoku, Stranos Elementos, s’Acru, South-Sardinia-Bruxa, Istentales, Tenore Usulese, Binchinau Dub’n’ Funk, Tenore Bustianu Satta.
Sa Die de sa Limba Sarda, “edizione” 2011 è stata una giornata importante dal punto di vista culturale e un ottimo spunto di riflessione per quanto riguarda la riappropriazione della nostra identità nazionale. Complimenti perciò all’associazione “Su Majuolu” e a tutti coloro che hanno permesso la buona riuscita dell’iniziativa, tra i quali segnaliamo Bruno Sini che ha moderato l’incontro, il poeta e scrittore Mario Sanna, lo studioso di lingua sarda Mario Puddu, Nicola Cantalupo, operatore linguistico della provincia di Ogliastra ed esponente di ProGreS e altri cultori di lingua e cultura sarda come Mario Sanna, Nello Bruno, Zùliu Pala, Fabio Petretto e Salvatorico Razzu.
Ci auguriamo che questo sia solo il primo di una lunga serie di appuntamenti che abbiano al centro della discussione la nostra specificità culturale.
Tissi 23/10/11
Daniela Piras